Friday, February 24, 2006

La vita...

Talis, inquiens, mihi videtur, rex, vita hominum praesens in terris, ad comparationem eius, quod nobis incertum est, temporis, quale cum te residente ad coenam cum ducibus ac ministris tuis tempore brumali, accenso quidem foco in medio et calido effecto caenaculo, furentibus autem foris per omnia turbinibus hiemalium pluviarum vel nivium, adveniens unus passerum domum citissime pervolaverit; qui cum per unum ostium ingrediens, mox per aliud exierit. Ipso quidem tempore, quo intus est, hiemis tempestate non tangitur, sed tamen parvissimo spatio serenitatis ad momentum excurso, mox de hieme in hiemem regrediens, tuis oculis elabitur. Ita haec vita hominum ad modicum appare; quid autem sequatur, quidve praecesserit, prorsus ignoramus.

Beda, Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum, II,12-13 (C.Plummer)


La vita d’oggidì degli uomini sulla terra, commisurata all’ampio corso dei secoli a noi ignoti, mi appare, o sire, simile al volo d’un passero che - mentre in un giorno d’inverno, quando fuori infuriano ovunque le piogge battenti e le nevi, tu siedi al desco assieme ai tuoi thanes e ai tuoi consiglieri, al tepore di un bel fuoco che, acceso nel mezzo, riscalda la stanza - entri da un varco nella tua casa e attraversi rapido la sala, uscendo dalla parte opposta. Finché si trova all’interno, il passero è al riparo dalle tempeste dell’inverno, ma, dopo questa breve tregua, subito rientra nell’inverno, da dove era venuto, e scompare dalla tua vista. Così anche la vita degli uomini appare sulla terra per un breve spazio di tempo; e di essa ignoriamo cosa l’abbia preceduta e cosa la seguirà.


Your Majesty, when we compare the present life of man on earth with that time of which we have no knowledge, it seems to me like the swift flight of a single sparrow through the banqueting-hall where you are sitting at dinner on a winter’s day with your thanes and counsellors. In the midst there is a comforting fire to warm the hall; outside, the storms of winter rain or snow are raging. This sparrow flies swiftly on through one door of the hall, and out through another.While he is inside, he is safe from the winter storms; but after a few moments of comfort; he vanishes from sight into the wintry world from which he came.Even so, man appears on earth for a little while; but of what went before this life or of what follows, we know nothing.

(Translated by Leo Shirley-Price. Revised by R.E.Latham)


Das Leben der Menschen scheint mir gegenwärtig auf Erden so beschaffen zu sein, oh König, wie das Deine, wenn du dich zum Mahle niederläßt mit deinen Heerführern und Würdenträgern zur Winterszeit inmitten des vom Kamin erwärmten Speisesaals. Draußen wüten winterliche Regen- und Schneestürme bis in alle Ritzen – da kommt plötzlich ein Sperling durchs Haus geflogen, und während er zu einer Tür hereinschwirrt, ist er sogleich durch eine andere wieder davongeflogen. Während der Zeit, in der er sich drinnen aufhält, wird er von den Unbilden des Winters nicht berührt, doch kaum ist der kurze Augenblick der Heiterkeit vorüber, tritt er aus dem Winter in den Winter zurück und entgleitet deinen Blicken. So erscheint das leben der Menschen für eine kurze Weile; was aber folgt, und was vorausging – darüber tappen wir ganz und gar im dunklen.

(Übersetzung: Klaus Olshausen)

Tuesday, February 21, 2006

Le Rune (seconda parte)

Il FUTHARK, o alfabeto runico, deve il proprio nome alle prime lettere che lo compongono e che rappresentano il suono delle rune stesse, cioè fehu (“bestiame”, quindi “ricchezza”), ûruz (ha due etimologie: “toro selvaggio” o “luogo umido”/ “pioggerella”), þurisaz (“runa dei Giganti”), ansuz (“dei”), raidô (“cavalcata”, “viaggio”), kênaz (“fiaccola”).
Ne esistono due varianti: il futhark antico detto serie lunga o futhark protogermanico , e il futhark giovane o serie breve. Il futhark antico è un sistema di 24 segni che venne adottato da quasi tutte le popolazioni germaniche; mentre il futhark giovane, che ne costituisce una variante semplificata, presenta una riduzione a 16 segni e venne utilizzata soprattutto nell’area scandinava a partire dal IX secolo.

Futhark antico:





(Immagine tratta da “Le Rune e gli Dei del Nord” di M.Polia) Accanto ad ogni runa è stato riportato il valore fonetico originario e la probabile denominazione protogermanica. I 3 punti fanno da separatori alle “famiglie” (ættir) runiche, ad esempio fehu ætt, hagall ætt, Tyr ætt.


Futhark giovane o serie scandinava:


Ibidem.






Le prime testimonianze dell’utilizzo dell’alfabeto runico risalgono alla fine del II secolo o inizio III secolo d.C.: si tratta di brevi iscrizioni su oggetti d’uso quotidiano come fibule, pettini o su armi ed elmi che, il più delle volte, riportano il nome del proprietario o dell’artigiano che li aveva fabbricati. La più antica e più conosciuta frase di senso compiuto in alfabeto runico è l’iscrizione su uno dei corni di Gallehus, risalente al 400 d.C.



Iscrizione corno di Gallehus:




Traslitterazione: “ek HlewagastiR HoltinjaR horna tawido” (io, Hlewagastir di Holt feci il corno).



I cosiddetti Corni di Gallehus sono due corni potori i cui originali sono oggi andati perduti, rinvenuti fortuitamente interrati e riportati alla luce in periodi diversi presso il villaggio di Gallehus vicino a Møgeltønder in Danimarca. Il primo, rinvenuto nel 1639, misurava 75,8 cm, pesava 7,2 kg, era in buone condizioni e riportava sull’orlo, appunto, l’iscrizione in antico futhark e in versi allitterativi; il secondo, ritrovato nel 1734, era più piccolo e danneggiato. I due manufatti in oro, finemente decorati da scene mitologiche probabilmente della saga scandinava (o celtica, come hanno supposto alcuni) disposte su fasce circolari, vennero rubati e fusi nel 1802: le copie, realizzate grazie a dei disegni dell’epoca, sono ora conservate al Museo nazionale danese di Copenhagen. Dei corni ci rimangono anche dei trattati: riguardo al primo il De aureo cornu scritto dall’antiquario Olaus Wormius nel 1641, dove si trova un primo schizzo del corno.




Schizzo di Wormius

Mentre il secondo venne descritto in un trattato di Richard Joachim Paulii nel 1734.


Schizzo di Paulii

Questa e altre iscrizioni runiche più antiche (risalenti II e III secolo d.C.) sono importanti anche dal punto di vista linguistico, in quanto non presentano particolari caratteristiche dialettali che invece andranno a costituire gli elementi distintivi delle lingue germaniche, rivelando, quindi, una lingua ancora unitaria e compatta.

Sunday, February 19, 2006

Ho avuto la mia prima recensione!!!

EVVIVA! Ho avuto la mia prima recensione!!! Piccola piccola, non c’è il mio nome perché io sono la curatrice/traduttrice mentre il titolo di autore del testo spetta giustamente al buon Gildas. Ma è la prima!!!
E’ apparsa (non so quando, l’ho vista per puro caso solo ora) sulla pagina dedicata alle recensioni, a cura diEnzo De Canio, del sito dei Gruppi Archeologici del Veneto.

http://www.gruppiarcheologicidelveneto.it/recensioni.html

La riporto qui di seguito.



LA CONQUISTA DELLA BRITANNIA

Gildas
Il Cerchio, Rimini, 2005,
pagg. 100, € 10


L’autore, Gildas, era un monaco di famiglia principesca della Gran Bretagna del V-VI d.C. A lui si riconoscono il merito di un’intensa attività missionaria in Britannia e Irlanda, la fondazione di non pochi monasteri e soprattutto non pochi miracoli. Era un celta latinizzato, dunque, che nella sua opera “De excidio Britanniae”, ora per la prima volta tradotta in italiano, raccontò le varie fasi della storia della sua terra, compresa la conquista romana, il periodo della dominazione imperiale, i primi martiri cristiani, poi la partenza delle legioni per il continente e, quasi inevitabilmente, le successive invasioni. A muoversi per primi contro i disgraziati Britanni furono i loro cugini celti di Scozia e d’Irlanda, e a poco servirono le invocazioni di aiuto al declinante potere romano rappresentato al momento dal patrizio Ezio. La colpa di tante sventure, secondo Gildas, doveva essere per forza dei peccati dei poveri Britanni, che per questo venivano puniti da Dio; in realtà qualcuno di loro peccò sì, ma di ingenuità, chiamando a soccorso i guerrieri Sassoni (ed Angli) che, una volta giunti, non si mossero più dalla futura Inghilterra. Gildas rievoca con efficacia e pathos gli anni tremendi di questa invasione, a contrastare la quale serviva un personaggio eccezionale. C’era un “uomo dotato di un grande senso della misura, che quasi unico dei Romani era sopravvissuto all’urto di tanto grande tempesta…”, Ambrosio Aureliano. Una figura storicamente accertata di sovrano (o almeno capo) vittorioso contro i Sassoni che anticipa, naturalmente, il meglio noto e leggendario re Artù della tradizione bretone. In ogni caso –ci informa Gildas- proprio sotto la guida di Ambrosio Aureliano i superstiti Britanni riuscirono a superare (almeno per un po’) le beghe intestine, “ripresero le forze e provocarono i vincitori alla battaglia, e con l’assenso del Signore la vittoria fu dalla loro parte”. Durò poco, come ben si sa, ma almeno i Britanni chiusero in bellezza.

Monday, February 13, 2006

Le Rune (prima parte)

Við hleifi mik sældo né viþ hornigi
Nessuno mi dette pane, nessuno il corno (per bere).
nýsta ek niþr,
Guardai verso il basso;
nam ek vpp rvnar,
raccolsi le rune,
œpandi nam,
urlando le presi.
fell ek aptr þaðan.
E caddi da lì.
(Hávamál, strofa 139)
Secondo la mitologia nordica, Odino ottenne le rune sacrificando se stesso a se stesso appendendosi, dopo essersi ferito con una lancia, per nove giorni e nove notti ai rami dell’albero Yggdrasil, l’Albero Cosmico, il Frassino del Mondo che nessuno conosce da quali radici nasca.
Odino diede alcune di esse agli Dei, altre agli Elfi, altre ai Vanir e, infine, alcune agli uomini.
Secondo un’altra tradizione, narrata nella Historia de Gentibus Septentrionalibus (1555) dell’arcivescovo svedese Olaus Magnus, sarebbe stato un certo Kettil Runske a portare le rune agli uomini rubandone tre a Odino e imparandone i segreti: Kettil usò il potere delle rune contro il proprio apprendista Gilbert, che aveva osato sfidarlo, richiudendolo per mezzo di esse a lungo in una caverna.
La prima attestazione del nome “Runa” appare su un bastone runico alemanno del VI secolo, e nella forma runo, probabilmente al singolare, sulla Einangsteinen, una pietra del IV secolo circa con iscrizioni in lingua Proto-nordica in antico Futharc, una delle poche a trovarsi ancora nel proprio sito originale, col significato di “segreto” (cfr. tedesco moderno raunen “bisbigliare”), a indizio che la conoscenza delle rune era legata al loro aspetto esoterico e divinatorio ed era probabilmente circoscritta ad una elite.
Foto Einang stone, Norvegia

Nella letteratura norrena vi sono parecchi riferimenti alle rune, ma nessuno di essi dà specifiche istruzioni sull’uso magico e divinatorio di esse. Una descrizione, alquanto vaga, di tale uso la troviamo nella Germania (98 d.C.) di Tacito[1] , nella Ynglinga Saga (1225) di Snorri Sturluson e nella Vita Ansgari di Rimbert o Rembert (arcivescovo dell’Amburgo-Brema fra 865 – 888).
Al di là del significato rituale sciamanico-divinatorio della scoperta delle rune e del fatto di essere, almeno alcune di esse, direttamente correlate con gli dei (ad esempio ansuz:

viene identificata con Odino), le rune sono un sistema di scrittura.

[1] 10. […]Virgam frugiferae arbori decisam in surculos amputant eosque notis quibusdam discretos super candidam vestem temere ac fortuito spargunt. (Tagliano un rametto di albero fruttifero in piccoli pezzi, li contraddistinguono con certi segni e li buttano a caso su una veste bianca)

Monday, February 06, 2006

La leggenda di Sabrina

Nell’Historia Regum Britanniae Goffredo di Monmouth narra che alla morte di Bruto, figlio dell’esule troiano Bruto, nipote d’Enea e presunto eponimo della Britannia, il regno venne diviso tra i suoi tre figli: Locrino, il maggiore, era sovrano di Loegria (l’odierna Inghilterra), Kamber del Cymru (il Galles) e Albanact di Albany (la Scozia). In quel tempo proprio la Scozia subì l’attacco degli Unni condotti da Humber, che sconfisse Albanact. Locrino adunò il suo esercito e partì alla volta del regno del fratello, dove sconfisse Humber, che morì affogato nel fiume presso cui si era svolta la battaglia. Vennero presi molti prigionieri e tra costoro c’era la bella principessa Estrildis: tra i due nacque subito l’amore ma Locrino aveva come promessa sposa Gwendolen, figlia del re del Kernow (Galles) Corineus, alleato e amico di Bruto. Locrino mantenne la sua promessa e sposò Gwendolen, ma amò in segreto Estrildis e dal loro amore nacque una figlia, Habrena. Da Gwendolen ebbe invece un figlio, Madan. Quando Corineus morì, Locrino lasciò Gwendolen per stare con la sua amata da Estrildis; Gwendolen, infuriata, sollevò l’esercito gallese contro Locrino, che venne sconfitto e ucciso in battaglia. Gwendolen divenne reggente del figlio e ordinò che Estrildis e la figlia Habrena venissero affogate nel vicino fiume. Da allora il fiume portò il nome dell’innocente Habrena, gaelico gallese Habren o Hafren, latinizzato in Sabrina e oggi chiamato Severn, di cui ella divenne il genius loci. Una morte-per-acqua che ha portato a una nuova vita, a una rigenerazione e trasformazione in altro, al perpetrarsi del ciclo della vita.

Friday, February 03, 2006

Nosce te ipsum

Der Weg zu dir führt eben durch das Ganze!
Passa attraverso il tutto la strada che porta a se stessi!


(da Welt und ich di Friedrich Hebbel)